a cura di Michele Palamara

M. P. On. Arch. Serena Pellegrino, Vice Presidente della VIII Commissione Ambiente, Territorio e lavori Pubblici, relatore invitato al Convegno organizzato dall’Ordine degli Architetti di Messina dal titolo: “L’architettura in 10 punti: riflessioni”, e reduce da una “tre giorni” di dialogo, sostegno, confronto sul riconoscimento della Bellezza in Costituzione, recentemente conclusasi ad Udine. Ci parli della sua Proposta di Legge di modifica Costituzionale n. 2401/14 che recita: «La Repubblica Italiana riconosce la bellezza quale elemento costitutivo dell’identità nazionale, la conserva, la tutela e la promuove in tutte le sue forme materiali e immateriali: storiche, artistiche, culturali, paesaggistiche e naturali». Da cosa nasce questa idea? Cosa pensa potrebbe cambiare concretamente con questa aggiunta?

S. P. La Manifestazione “Riconoscere la Bellezza” che si è tenuta a Udine è la terza tappa di un percorso iniziato più di un anno fa con il preciso scopo di aprire il dibattito, il confronto, il dialogo e promuovere la proposta di legge di modifica costituzionale all’art. 1.
Ci tengo a chiarire che non è una provocazione ma vuole realmente aprire un varco nella discussione. Al nostro Paese è universalmente riconosciuta un’incomparabile bellezza testimoniata oltreché dalle sue caratteristiche paesaggistiche e naturali anche, e soprattutto, dall’inestimabile valore patrimoniale dei suoi beni culturali. Conta circa 8.500 siti tra monumenti, musei ed aree archeologiche, 46.025 beni architettonici vincolati, 34.000 luoghi di spettacolo, 51 siti Unesco, centinaia di festival ed iniziative tradizionali che ogni anno animano tutto il suo territorio.
Tutto questo rappresenta un capitale economico ed un’eredità storica che ci rende unici nel panorama internazionale.
È indispensabile fare un passaggio di profonda autocritica.
Dopo un breve periodo in cui vi era la reale necessità di ricostruire un paese devastato dalla guerra, negli ultimi 70 anni abbiamo distrutto – anche attraverso una scellerata politica territoriale – un patrimonio inestimabile.
È nata così la necessità in me di trovare una soluzione progettuale: declinare la parola Lavoro come strumento e legarla definitivamente alla parola Bellezza quale fine ultimo.
Nel perseguire questo obiettivo ho ritenuto, e ritengo ancora, che la conservazione, la tutela, la valorizzazione e la promozione del nostro patrimonio storico, artistico e naturale, oltre a rappresentare un atto di dovere verso le generazioni future, possa far uscire il Paese dalle secche delle crisi per ricondurlo su un nuovo percorso di crescita davvero sostenibile e duratura.
Il pensiero e il rispetto costante verso i Padri costituenti mi ha portato ad una riflessione: probabilmente non ipotizzavano quanto sarebbe accaduto nei decenni seguenti e degli scempi che si sarebbero perpetrati su tutto il Belpaese e sul suo intrinseco ed inestimabile patrimonio artistico e architettonico.
L’intervento dell’uomo, e questo va ammesso senza attenuanti, in continua ricerca di sempre più elevati livelli di ben-avere – molte volte perseguito anche con fini nobili come l’ottenimento di una casa e un lavoro per tutti – ha determinato una cementificazione selvaggia e un industrialismo senza remore, con grave e sempre maggiore degradazione dell’ambiente naturale e paesaggistico, con altrettante e gravi modificazioni ed alterazioni delle sovrastrutture dei beni culturali ereditati dalle generazioni precedenti. Tutti fatti,questi, che rendono non più eludibile l’integrazione dei principi costituzionali con il riconoscimento della bellezza italiana tra i valori fondanti della Repubblica. Ed è stato confermato dalla sottoscrizione di oltre 150 deputati di ogni schieramento, da 50 relatori che hanno partecipato alla manifestazione e da altrettante associazioni che a livello locale, nazionale e internazionale hanno dato il loro sostegno alla “ambiziosa” proposta di legge.

M. P. Di cosa tratta, invece, il cosiddetto “Emendamento Bellezza” da lei presentato al Decreto “Destinazione Italia”?

S. P. Dopo pochi mesi dall’insediamento abbiamo discusso il decreto denominato “Destinazione Italia”. Un decreto che aveva come scopo quello di promuovere investimenti per lo sviluppo e la crescita economica del nostro Paese. Ho pensato che una delle più grandi opere da sostenere fosse il ripristino di tutte le facciate dei centri storici. Un’esperienza già realizzata in molti centri d’Italia come Napoli, ma anche Roma, e che ha prodotto degli effetti positivi incredibili anche come ricaduta economica ed occupazionale.
Essendo le facciate degli edifici, dal mio punto di vista, un “bene comune” ho ritenuto che quelle dei centri storici, definiti da tutti un museo a cielo aperto, fossero da ripristinare con il denaro di tutti, ovvero finanziate al 100% dalle casse dello Stato.
Ho quindi proposto un piano di finanziamento spalmato su tre anni di 750 milioni di euro, sciocchezze per la ragioneria di Stato quando deve, ad esempio, rifinanziare le cosiddette missioni di pace o acquistare aerei da guerra è più semplicemente costruire opere inutili per i cittadini e dannose per l’ambiente.
Una richiesta legittima e congrua con la finalità del decreto perché avrebbe fatto ripartire il comparto edile, ridistribuito il reddito generando lavoro e contemporaneamente dato un valore aggiunto ai beni architettonici e storici tanto apprezzati a livello internazionale. La risposta da parte del relatore Vignali fu secca: NO! Il motivo? Questa voce rientra nelle spese e non negli investimenti. La ragioneria di Stato l’avrebbe respinta. Ero alle prime armi e sono caduta dalle nuvole. Chiedo: “ma allora cos’è “investimento”?” Mi risponde: “le infrastrutture, le grandi opere…!”A questo punto dico che sono leggi dell’uomo e che come tutte le leggi dell’uomo possono esser modificate: quello che oggi è spesa domani può diventare investimento e ribaltare tutta l’economia e la vita di ogni cittadino, così insisto: “ma io ho trovato la copertura, gli introiti dai giochi d’azzardo, d’altronde perfino la fontana di Trevi fu realizzata con gli stessi fondi?” Risposta: “quelli non si toccano!”. Scopro che la Ragioneria di Stato destina quei fondi alla spesa sanitaria, si, la spesa sanitaria! Temo che non serva dire di più.

M. P. Spesso si parla di bellezza oggettiva e soggettiva. Per alcuni, la bellezza è oggettiva perché risponde a determinate caratteristiche geometriche, universalmente riconosciute come belle. In questa prospettiva “il bello è sempre bello” in quanto percepito tale da tutti, ovunque, in qualsiasi momento storico e aldilà della propria cultura. Per altri, invece, la bellezza è soggettiva perché è inscindibile dalle proprie esperienze e, pertanto, influenzata dal periodo storico, dagli usi e costumi locali, dalle mode, etc. Secondo questo punto di vista la bellezza è relativa e percepita come tale, o meno, in base alle circostanze e alle persone. Insomma non è bello ciò che bello ma è bello ciò che piace. Lei come la vede?

S. P. Una domanda che affonda le sue radici dentro un trentennio, quest’ultimo, in cui la differenza tra Bell’essere e bell’avere ha confuso le idee come non è mai accaduto nella storia.
A tal proposito mi avvalgo del prezioso contributo di Leon Battista Alberti tratto dal De re aedificatoria: “La bellezza è l’armonia tra tutte le membra, nell’unità di cui fan parte, fondata sopra una legge precisa, per modo che non si possa aggiungere o togliere o cambiare nulla se non in peggio.” (Libro VI, cap. II). E ancora esplicita: “La bellezza è accordo e armonia delle parti in relazione a un tutto al quale esse sono legate secondo un determinato numero, delimitazione e collocazione, così come esige la concìnnitas, cioè la legge fondamentale è più esatta della natura”(De re aedificatoria, libro IX, cap. V).
Ebbene mi sembra evidente che abbiamo smarrito la via. Nell’era del “mi piace” abbiamo confuso la dimensione soggettiva con quella oggettiva. Certamente può accadere che ad alcuni abbiamo emozioni sentendo Wagner, mentre altri con Mozart ma nessuno può mettere in discussione che entrambi vengano annoverati nella Bellezza.
E le varie “dimensioni di Bello” danno, nella loro diversità, la possibilità di riconoscersi e – passatemi questo verbo che è stato relegato ad una sola accezione dal vocabolario italiano – godere di Bellezza.
Abbiamo sostituto la parola godere con una molto più algida: fruire! Il gesto della fruizione ha ridimensionato il concetto di Bellezza.
Riprendiamoci l’atto del godere di Bellezza e torneremo a dargli la giusta valenza oggettiva. Ovvero dove soggetto e oggetto hanno la possibilità di dialogare armonicamente.

M. P. Lei ha detto al Congresso di Messina: “La bellezza, senza dubbio, non fa le rivoluzioni. Ma le rivoluzioni hanno bisogno della bellezza”. Cosa intende dire precisamente?

S. P. Questa è una frase che ho tratto da Albert Camus. Quando si cita, sebbene in modo impreciso, Dostojewsky “la bellezza salverà il mondo” a mio avviso è proprio la sintesi espressa da Camus. L’aspirazione di vera rivoluzione è, come atto finale, il raggiungimento del ben-essere. Le grandi rivoluzioni culturali, dal classicismo al neo-classicismo passando dall’umanesimo e il Rinascimento sono tra le rivoluzioni che hanno lasciato le tracce indelebili della nostra evoluzione. Una rivoluzione per l’evoluzione.
Le rivoluzioni senza bellezza producono distruzione e macerie.
Per dirla brevemente il processo armonico ha come atto finale la bellezza, il conflitto la bruttezza.
Le Rivoluzioni hanno bisogno della Bellezza.

M. P. Walter Gropius diceva: “L’architetto inizia dove finisce l’ ingegnere”. Dovrebbe, cioè, esistere una separazione tra colui che si occupa prevalentemente di aspetti tecnici strutturali, l’ingegnere, e colui che si dedica più in generale ad aspetti estetici, l’architetto. Oggi, per lo meno in Italia, i due campi hanno confini molto labili, mentre nel resto dell’unione europea se una persona è un ingegnere, o un architetto sa benissimo quali sono le sue competenze e le sue peculiarità all’interno del mondo dell’edilizia. Lei cosa pensa della multidisciplinarietà delle professioni tecniche?

S. P. Accade solo in Italia che ci sia la sovrapposizione delle competenze tecniche, soprattutto in edilizia, tra le varie discipline. Tutti sappiamo però che in Europa l’unica figura riconosciuta come progettista è l’architetto mentre in Italia tutti i tecnici fanno tutto anche se non abilitati a farlo. So di riportare un dibattito acceso da sempre e mai risolto da decenni. La tensione su questo argomento non si è mai sopita forse sono nei decenni delle cosiddette “vacche grasse” periodo in cui le commesse erano tante e tutti lavoravano. Ora che si stimano 7 milioni di vani vuoti e il crollo dell’edilizia si fa importante è evidente che tutti cerchino di accaparrarsi lo spazio di sopravvivenza.
Attraverso la suddivisione delle discipline in ordini professionali abbiamo corso il rischio di ghettizzare le categorie alimentando la guerra delle competenze.
Gli architetti sono coloro che meglio conoscono le incursioni nella propria sfera di competenze e questo ha generato un conflitto tale da far dimenticare la ricchezza del lavoro concertato.
Un’orchestra come un cantiere, nella sua esecuzione del “progetto musicale” non può prescindere dall’esistenza di tutti gli strumenti: dal violinista al timpanista passando per tutti gli strumentisti, esattamente come lo sono in cantiere dal muratore al pittore passando dal l’elettricista; alle volte accade che anche i grandi compositori abbiano necessità di coloro che sappiano orchestrare i temi musicali, nasce così una grande opera d’arte.
Allo stesso modo e ancor di più nella realizzazione di un’opera architettonica facendo concertare armonicamente le menti progettuali, ognuno per la propria capacità e competenza, senza prevaricazioni o subordinazioni, e tutti gli “strumentisti” – artigiani nel cantiere – si ottiene la più grande realizzazione di Bellezza.
Sappiamo anche che i grandi architetti, tutt’oggi, abbiamo delle squadre importanti che concertano il progetto per la migliore realizzazione dello stesso.
I nostri Padri lo sapevano bene: la committenza, il progettista e gli artigiani anche se non erano tutti Brunelleschi o Palladio avevano la capacità di generare manufatti armonici che ancora oggi sono ammirati da tutti in tutto il mondo e che ci permettono di dire senza motivo d smentita che siamo il più bel paese del mondo e che i nostri centri storici sono un museo a cielo aperto e che gli architetti italiani hanno il compito, l’onere e soprattutto l’onore di continuare a mantenere, promuovere e produrre Bellezza.

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